LA SVEGLIA DELLE 7
che viene posposta alle 7:15. Che risuona e riceve gran numero di maledizioni. Il calduccio delle coperte arrotolate ad involtino primavera agisce da diavoletto tentatore, ma per fortuna la ragione – e la fame, lo ammetto – prende in mano le redini della situazione e mi scaraventa giù dal letto. Mi lavo la faccia, mi vesto e mi reco alla mensa dell’istituto, dove mi ingozzo come un pitone insieme ai nuovi compagni di corso.
Giusto, il corso. Si tratta di un corso di lingua e cultura, perciò non si trattano soltanto argomenti di grammatica e comprensione orale e scritta, ma tutto ciò che riguarda la storia della città, i musei, la musica, il teatro, ecc. Si rivelerà un corso ricco di attività non solo di lavoro in classe, ma anche pomeridiane e serali. Ma veniamo ai compagni: ci sono cinque spagnoli, due giapponesi, uno svedese, (no, non è una barzelletta, concentratevi!), un turco, due russe e un inglese. Ah, e un’italiana ovviamente (sono io, io!). Al turco mancano un sacco di denti, lo noto perché sorride spesso, che tenero. Se fosse un animale sarebbe sicuramente un panda. Avrete notato che la concentrazione di spagnoli è inverosimilmente elevata, e questo causerà in me un forte desiderio di imparare questa lingua stramba, fatta di s sorde e lingua tra i denti. Ci rendiamo subito tutti conto che il corso è eterogeneo dal punto di vista dei livelli di conoscenza della lingua, motivo per il quale l’insegnante faticherà non poco e trovare il modo di rendere le lezioni comprensibili a tutti e non troppo noiose. Oltre alla mensa, unica nota negativa delle due settimane.
La mensa, luogo di ritrovo non solo per la colazione e il pranzo, ma anche per il caffè delle pause dalle lezioni, ha i colori del Goethe-Institut, ovvero bianco e verde: tavoli bianchi, sedie bianche e verdi, tende bianche e verdi, pareti bianche e verdi…in effetti è un po’ maniacale l’attenzione per l’alternarsi di questi due colori. Il punto forte non è certo il cibo che viene servito: per carità, essendo vegetariana non mi posso lamentare più di tanto, ho sempre mangiato abbondantemente e la qualità non era male, a parte l’ultimo giorno, che mi son trovata nel piatto riso bollito e uno, dico UNO spiedino di verdura, che doveva essere grigliata, ma dalla consistenza era decisamente bollita. Chi ha mangiato la carne, invece, si lamentava spesso della consistenza, diciamo, tenace e del ripieno a volte poco gradito. Eh vabbè, la mensa è sempre la mensa.
Il pomeriggio incontriamo la guida a Marktplatz e iniziamo la visita guidata della città dalla St. Michaelskirche, la chiesa principale, con la sua scala, sulla quale la sera hanno luogo spettacoli teatrali e musical. Vi chiederete, su una scala? Già, proprio così. Il primo spettacolo teatrale ad essere messo in scena fu Jedermann di Hugo von Hofmannstahl, in seguito si passò a drammi, commedie, e infine musical. Il primo musical fu Jesus Christ Superstar. Avete letto bene. Sui gradini di una chiesa. Ovviamente suscitò non poche polemiche, ma le acque si calmarono ben presto, perché fu un successo. Noi abbiamo assistito a Summer of Love, che mi ha fatto ballare sulla sedia e cantare per due ore e un quarto. Torniamo, però, alla guida. Nonostante i disperati tentativi di parlare un tedesco comprensibile, ogni tanto le scappa qualche scht di troppo. Parentesi linguistica: il dialetto svevo prevede che la st si pronunci scht sempre e comunque, ad esempio: kommscht invece di kommst; il diminutivo -chen non è previsto, si forma sempre con -dle, ad esempio: Lädle, Mädle, Städtle. Ed ecco che da parte nostra partono i commenti: “Hai sentito? Ha detto kommscht“, tutti fieri di aver notato la differenza. Alla fine del tour della città ci viene spiegato che a SHA esiste un Geist, uno spiritello, che spaventa le ragazze che passeggiano da sole la sera. Il giorno dopo sono subito corsa a cercarlo tra i souvenirs, l’ho trovato e l’ho acquistato in duplice copia. È questo:
Paura, eh?
Bando alle scemenze, SHA è bella, pulita, sembra di essere nel regno delle fate, niente cartacce, niente rumori o odori molesti, il fiume scorre lento e in modo quasi impercettibile, il verde dei prati e degli alberi risplende alla luce dei raggi del sole che filtrano attraverso i rami. Regala spunti fotografici ineguagliabili. La gente è felice, sorride, non va di corsa, alle 18:30 i negozi chiudono e se ti sei dimenticato di comprare il sale, beh, affari tuoi, ti tocca mangiare l’insalata insipida. È successo alla sottoscritta, e vi ricordo che Hall è una parola antica che significa “sale”.
Bel racconto. E bello farsi un giro fuori, una piccola parentesi di avventure, per rinnovarsi un po’. Spero te la sia goduta (sembrerebbe di sì).
Sì 🙂 ne avevo proprio bisogno!