Ossessioni entropiche e un concerto emotivamente “insostenibile”

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Venerdì sera sono stata al concerto dei Muse qui a Torino, con tanto di canotta nera con la scritta luccicosa “MUSE”, pacchianata derivante dal concerto a San Siro di 3 anni fa, dove c’erano milioni di magliette a tema, che però erano o troppo grandi – no, guardi, la L è troppo grande per me, una S o una formato bambino proprio non ce l’ha? – o esageratamente colorate. Io la volevo nera, che fa rock e non impegna. E comunque mi sta lo stesso un po’ grande.

Chi mi conosce lo sa, i Muse non sono semplicemente il mio gruppo preferito, ma un’ossessione, un modo di vedere il mondo. Quando non li ascolto per qualche giorno, il motivo può essere uno e soltanto uno: ho dimenticato a casa l’iPod o quest’ultimo è scarico e mi dimentico ripetutamente di caricarlo. Quando li ascolto non esiste altro attorno a me, nemmeno le auto che sfrecciano rischiando di investirmi. In questi giorni, poi, tra fase pre- e post-concerto, sto riascoltando tutti e 6 gli album fino alla nausea (degli altri, non mia, ovviamente).

Premetto che spesso i Muse non sempre si apprezzano ad un primo ascolto, ma vanno capiti, ascoltati e riascoltati, analizzati, e soprattutto bisogna liberare la mente da pregiudizi musicali. Solitamente il risultato del mio primo ascolto è: “Ma che roba è? Perchè? Sono impazziti??” E poi, inaspettatamente, mi innamoro come fosse la prima volta. Cambiano sempre, sorprendono, maturano. Questa reazione l’ho avuta soprattutto con 2 album: Black Holes and Revelations (2006) e The 2nd Law (2012). Il primo è un contenitore di svariate influenze musicali: techno in Take a Bow, italiane in City of Delusion, i cui arrangiamenti portano la firma di Mauro Pagani, tono epico per Knights of Cydonia e i Depeche Mode dei primi anni Novanta la fanno da padroni in Map of the Problematique (ditemi che non ci riconoscete Enjoy the Silence). Un gran minestrone, ma non una Zuppa del Casale surgelata, bensì uno di quelli preparati con le verdure scelte dell’orto e cucinato con la maggior cura possibile. Discorso diverso per The 2nd Law, in cui si riconoscono influenze dubstep, qualcosa che profuma di Queen e, per mia grande gioia, melodie da rock sinfonico che ricordano l’album precedente, The Resistence, di cui vi consiglio la sinfonia in 3 parti Exogenesis: Symphony.

Il genio di Matthew Bellamy deriva dalla sua ossessione per le teorie del complotto, dal suo interesse per la fisica, la fantascienza, l’esistenza di forme di vita aliene,  l’economia e l’ambiente, e  tutto questo si riflette nei testi delle canzoni, nella musica, e nel modo in cui usa la voce: avete mai sentito il suo falsetto? Allora ascoltate Micro Cuts. BrividiLa sua voce è dolcezza, disperazione, rabbia, romanticismo, rassegnazione, ambizione, distruzione. Un musicista eclettico e un vocalist eccellente. Lo amo alla follia, sappiatelo, e amo la sua voce come la Strega del Mare quella di Ariel, con la differenza che non gliela ruberei mai.

Rivelazione di quest’ultimo album è il bassista Chris Wolstenholme, che interpreta 2 brani, Save me e Liquid state, che ho apprezzato davvero molto perché sono “sentiti”, trasmettono in modo limpido le problematiche e le emozioni che affrontano. Al concertone di venerdì sera ha cantato Liquid state: bella voce, ma bisogna ammetterlo, rispetto a Matt non c’è storia.

Dopo un’attesa di circa 4 ore e mezza, intravedere Matthew Bellamy sulla passerella a pochi metri da me è stata un’emozione indescrivibile: dico intravedere, perché questi sono i momenti in cui desidero disperatamente quei 10 cm in più, come un gatto di fronte alla scatoletta di tonno sigillata. Era proprio lì, quasi mi mancava il fiato, e la sensazione è stata quella di aver duettato insieme a lui: sì, conosco quasi tutte le canzoni a memoria. Anche quello dietro di me le conosceva a memoria, per mia sfortuna, ed era di uno stonato che meritava di essere bandito dallo stadio e da tutti i concerti a venire.

La scaletta è stata fittissima e variegata, un’entusiasmo dietro l’altro, un cantare un pogare e un saltare continuo – tardi dimenticherò la gomitata alla base del cervelletto che mi ha regalato qualche secondo di confusione – che hanno lasciato spazio a qualche lento molto gradito, che ha avuto la funzione del sorbetto al limone ai pranzi di nozze: Blackout, Explorers, Guiding Light e Unintended, che non avevo più ascoltato da quando…ecco, speravo non la facessero, ma pare sia un must.

Prima parte: Supremacy; Panic Station; Plug In Baby: Map of the problematique; Resistance; Animals; Knights of Cydonia; Dracula Mountain; Explorers, Interlude; Hysteria; Monty Jam; Feelin good; Follow me; Liquid state; Madness; Time Is Running Out; Stockholm Syndrome. 

Sul palco B: Unintended; Blackout; Guiding Light; Undisclosed Desires

BIS: The 2nd Law: Unsustainable; Supermassive black holes; Survival; Uprising; Starlight. (Ah, erano i bis??)

(Fonte: Panorama.it)

Un concerto indimenticabile, perché oltre alla musica non passano inosservati gli effetti speciali, come la mega-lampadina che si alza in cielo durante Blackout, e dalla cui base esce una ballerina che volteggia sulle teste di 40.000 fan in fibrillazione (a San Siro era una navicella spaziale, sulle note di Exogenesys Symphony Pt 1: Overture), o Obama, Angy, Putin e il Papa che ballano sulle note di Panic Station, o ancora il robot di The 2nd Law: Unsustainable, le fiammate, i neuroni lampeggianti, le banconote che piovono dal cielo, un’armonica suonata e lanciata in mezzo al pubblico…e Muse, indimenticabilmente, drammaticamente, unicamente, Muse.

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